venerdì 15 luglio 2016

Diga del Vajont









Venerdi 15/07
Le buone intenzioni c’erano tutte per partire quanto prima, ma alla fine quando raggiungiamo il campeggio sono già le 22,30. Fortunatamente la gentilezza dei gestori della struttura è quasi fuori dal comune: ci aggolgono con gentilezza e un sorriso di benvenuto e ci accompagnano tra le ripide vie del campeggio alla nostra piazzola. Giusto il tempo di posizionarci e siamo a letto con tanto di piumetto, perché l’aria tra queste montagne è davvero fresca.




Sabato 16/07
Al risveglio possiamo ammirare dove ci troviamo. Delle alte vette ci circondano e tra le fronde degli alberi intravvediamo pure uno scorcio di lago. Il posto è davvero bello e il campeggio supera di gran lunga le aspettative (per l’importo di 20euro per tutto il weekend ci aspettavamo qualche pessima sorpresa!).
 Dopo colazione decidiamo cosa fare per la giornata. Il desiderio di vedere il motivo del nostro viaggio prevale e quindi rimettiamo in moto il camper e usciti dal campeggio ci dirigiamo verso la diga del Vajont.
Il percorso che ci separa ad arrivare alla diga passa tra paesaggi affascinanti, costeggiando il torrente Cellina dove sarebbe uno spettacolo navigarlo in canoa 
 


e poi su a scollinare sul passo S.Osvaldo per ridiscendere alla meta. Parcheggiamo in uno dei primi parcheggi che si trovano in alto, e già da lì ammiriamo quel ventaglio di cemento che tiene unito le due montagne: il monte Salta e il più tragicamente ricordato, monte Toc.

vista della diga dal parcheggio

 Scendiamo a piedi un paio di curve e dopo aver acquistato i biglietti (5euro per solo gli adulti) ci possiamo unire ad un piccolo gruppo per la visita guidata.  Il gruppetto a cui ci aggreghiamo è già in cerchio attorno alla guida che li sta introducendo alla spiegazione di ciò che ci circonda. Chi ci racconta di questa diga è un signore anziano, Giuseppe, un ottantatrenne in ottima forma, che con il suo tono pacato, in pochi minuti ci lascia ammutoliti.

 Lui è un superstite di quella sciagura, e quello che ci racconta non è quindi la storia solo scritta,  ma la storia vissuta di quella notte e dei giorni a venire che hanno segnato gli abitanti di questa vallata. Tutto ciò ci coinvolge maggiormente, e quando le sue parole quasi tremano nel raccontarci qualche dettaglio veniamo coinvolti emotivamente anche noi. Aver letto ( "Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe" di Tina Merlin) e visto ( Il Racconto del Vajont di Marco Paolini) qualche cosa a riguardo di questa sciagura,   che certamente poteva essere evitata, è stato oltre che interessante anche toccante, ma rivivere quei momenti dalle parole di Giuseppe, ci cala in immagini di paura, di dolore, di tristezza ma anche di tanta rabbia. Come per altri tragici eventi della storia, dove il potere, l’arrivismo e la superficialità di alcuni, hanno trasformato in orrore la vita di altri, non posso non chiedermi come sia potuto accadere. Come tutto ciò sia accaduto qui, in questo modo. Sembra assurdo, ed invece è tutto li, davanti ai nostri occhi. Ci stringiamo al nostro Lorenzo mentre osserviamo le 487 bandierine appese lungo il percorso che ci porta alla sommità della diga. Sono 487 bandierine in cui vi è scritto su ognuna il nome di ogni bambino che perse la vita quella notte. Lorenzo vuole che gli leggiamo qualche nome. Noi facciamo un po’ fatica a non far sentire il nostro nodo in gola. 


487 piccoli innocenti ricordati da bandierine appese

Proseguiamo il nostro cammino che ora sembra sempre più una solenne marcia alla memoria. Guardiamo le montagne scavate nella roccia dalla potenza della natura, che, sfidata oltre ogni limite dalle ambizioni dell’uomo (se tali si possono chiamare…) si è sfogata con migliaia di metri cubi di acqua frantumando e modificando quello che naturalmente si era creato in migliaia di anni prima. Con quell’opera ingegnosa, o forse oggi meglio definire criminale,  furono rotti gli equilibri che la natura aveva creato. Guardiamo nel profondo della valle, il salto dei 260 metri di dislivello. Guardiamo lontano tra le montagne la in fondo Longarone. 
Proviamo ad immaginare l’energia che possono avere avuto 50milioni di metri cubi di acqua (ed è difficile immaginarli…) che hanno sorpassato questa diga, lasciando dietro se quasi 2000morti. 

Longarone in fondo alla valle

l'imponente diga a doppio arco

anche Lorenzo è attento alle parole della nostra guida

il passaggio sulla diga
 Dopo quaranta minuti di spiegazioni/emozioni, salutiamo, ringraziamo (e ci tratteniamo dall’abbracciare) la nostra guida e torniamo al camper. Pranziamo e quindi scendiamo a Longarone per una visita prima alla chiesa e poi al museo. 
il Museo a Longarone


un monito al museo di Longarone

difronte alla chiesa di Longarone


da Longarone la vista della diga
Rompiamo la tristezza che sentiamo dentro, gustando la specialità di questa città: il gelato. 

gustosi gelati


Riprendiamo il percorso a ritroso per la valle e quindi torniamo a Barcis per la serata.

Domenica 17/07
Oggi ci dedicheremo solo a qualche ora di relax e quindi prese le biciclette partiamo per il giro completo del lago. La ciclabile non chiude ad anello il piccolo specchio d’acqua, ma lo scarso traffico consente comunque di gustarci i panorami.
ciclisti della Domenica...

lago di Barcis




 A Barcis molti turisti si godono nel fare pic-nic nei vari spazi dedicati a bordo lago, ma noi optiamo per il camper. Un riposo pomeridiano, cullati dall’aria fresca che qui abbonda, e quindi partiamo per il rientro nella nostra calda e afosa Mantova.

alla prossima...

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